La ferrovia Roma nord

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335-La Ferrovia Roma Nord e la Shoah

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La ferrovia Roma Nord e la Shoah (335)

 di Gianfranco Lelmi

Benché non siano stati trovati resoconti sull’utilizzo della Ferrovia Roma Nord per compiere uno dei crimini peggiori che l’umanità possa ricordare: la shoah, questa ferrovia, indirettamente fu coinvolta in episodi che ancora oggi fanno emozionare il lettore.

Quello che sappiamo, ai soldati tedeschi, nel 1944, con riferimento ad alcune corse dei treni, venivano riservati otto posti in prima classe e quattordici in terza classe. Quindi in conseguenza della scarsezza dei carburanti, nonostante i ripetuti bombardamenti, questa ferrovia funzionava e veniva utilizzata.

Da resoconti dell’epoca, sappiamo che nel dicembre del 1943 undici ebrei arrestati a Viterbo dalla Guardia Nazionale Repubblicana il 24 marzo del 1944 furono caricati su un camion a Porta Romana in direzione di Fossoli, destinazione Auschwitz.

Nel periodo critico della guerra, a Roma, come riportano alcune fonti, vivevano 8000 ebrei. Circa 7000, allarmati dalle voci poco rassicuranti, erano fuggiti. E’ ovvio, che molti di loro si diressero verso le seconde case nel viterbese o presso parenti e/o amici residenti nella Tuscia.

A Viterbo risultavano residenti gli Anticoli, gli Efradi, i Gattegna, gli Jacchia, i Monbtecorvo, i Di Porto, i Sinigaglia, i Di Veroli, i Fuerstein; a Civita Castellana i Moscato; a Soriano i Perugia, che sicuramente utilizzarono per i loro spostamenti la Ferrovia Roma Nord.

La circolare N. 491303/43 e N. 443/65952 del Ministro Bocchini, la N. 3701 del 1 dicembre 1938 concernente la razza ebraica, gli articoli 8 e 9 che determinavano le caratteristiche in base alle quali vennero definiti gli appartenenti alla “razza ebraica”, inequivocabilmente all’armarono gli interessati, che percepirono incontro a quali pericoli stavano andando. La lettera del 26 maggio 1940 del Duce, diretta al Ministro Bocchini, parlava dell’allestimento di campi di concentramento per gli ebrei. Difatti in tutta Italia ne furono creati 48.

La Ferrovia Roma Nord, certamente fu utilizzata e coinvolta in tanti episodi drammatici.

foto di Marco Corradi

FALERIA  

Significativo un racconto  (di seguito riportato) che coinvolse la cittadina di Faleria. Sulla piazza principale del paese, uno dei tanti delatori che per soldi segnalavano all’autorità gli ebrei, cominciò ad urlare verso i carabinieri, che un tizio apparteneva alla razza ebraica. Quest'ultimo fu arrestato e dopo un breve "passaggio" a Regina Coeli finì deportato con la sua famiglia ad Auschwitz.

Un suo amico fu salvato da una donna che lo nascose in cantina. Fortunatamente fu fatto fuggire e portato in salvo alla stazione di Morolo della Ferrovia Roma Nord, poiché si supponeva che la vicina stazione di Rignano Flaminio sarebbe stata posta sotto controllo. Il poveretto con grande spavento si salvò e giunse a Roma,

Dopo la guerra il figlio dello sfortunato finito ad Auschwitz, incontrò sulla stessa piazza, lo scellerato delatore. Gli diede una lezione incredibile. Non urlò, non lo aggredì, fissandolo, rimase in silenzio.

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Acqua Acetosa

 

 

LA STORIA DI UMBERTO PACE (E NON SOLO)

Si ringraziano Lamberto Rinaldi,  Nicola Rinaldi  e  Tiziano Severini di Faleria per averci permesso di conoscere una storia vera in tutta la sua "durezza"

 

Gli ebrei arrestati nella provincia di Viterbo, come effetto delle Leggi Razziali, furono in tutto undici. Cinque nel capoluogo, due a Bolsena e a San Lorenzo Nuovo, uno a Graffignano. E un altro ancora a Faleria.

Si chiamava Umberto Pace (Convoglio del 26/06/1944 partito da Fossoli), era nato a Roma il 28 novembre 1880, e lì viveva insieme alla moglie, Rosina Bondì, e i figli. Cosa ci facesse a Faleria quel giorno me l'ha raccontato Nonna Palmira, che il momento dell'arresto, avvenuto il 2 maggio 1944, quando aveva 13 anni, se l'è visto davanti.

Era con Zia Elena, la sorella che aveva 7 anni di più e sarebbe morta nel dopoguerra per meningite a 22 anni, e Zia Armanda, che di anni in più ne aveva 3. "Je stavo sempre ddietro e nun me volevano, perchè edero munella. Stavamo a passeggio lì ppe Santa Nicola, do mo ce sta la Posta. Lì a quello muro do gireno pe Cargata c'era tutto o seguito di' fascistoni de Faleria, insieme a o' maresciallo, un panzone che 'nte dico".

Umberto Pace stava tornando da Calcata (02.05.1944), dove era andato a comprare qualcosa alla borsa nera per la sua famiglia: pane, latte, uova, "perchè la fame, bello de nonna, edera brutta". Passa dall'altro lato della strada, quasi per nascondersi: sarebbe dovuto arrivare a Rignano Flaminio per prendere il treno e tornare a Roma. "Se ne stava guatto guatto, ma ha trovo un malincontro. Uno de questi inizia a fa: "Maresciallo, le presento un ebreo!", lo pia per colletto e lo porta davanti ar carabiniere. "Signore mi lasci andare per cortesia, ho famiglia, mi stanno aspettando". Gnende da fa, se lo so portato". La sorella di nonna, "che edera sveglia", prova a intervenire. "Io ghj dicevo: "zitta! Statte zitta!", se te sentivano te purgavano, te menavano. Prima non edera come mo, prima c'era o fascismo".

Umberto Pace venne arrestato, portato al carcere di Regina Coeli e poi spostato a Fossoli, in provincia di Modena. Qui, il 26 giugno 1944, sul convoglio n.13, partì per Auschwitz, dove arrivò quattro giorni dopo. Senza tornare mai più. Insieme a lui trovarono la morte la sorella, Celeste, e il figlio Armando (nella foto qua sotto) mentre l'altro figlio, Salomone, arrestato e deportato a marzo, riuscì a sopravvivere.

 

 

Anche nonna Ascenza racconta questo fatto come testimone diretta di un altro episodio collegato all'arresto di cui riporta comunque che mentre l'uomo pregava di poter tornare dalla famiglia, avesse baciato in segno di supplica il suo delatore, che sdegnato gridava "che schifo, mi ha baciato un ebreo!"

Comunque il pezzo che aggiungo alla storia - e lo aggiungo con un po' di orgoglio - è questo.

Questo ebreo deportato non era da solo, ma lo precedeva a Faleria un suo amico, anche lui ebreo, portando cinturini di cuoio e articoli simili, da barattare con generi alimentari. Quando si venne a sapere dell'arresto, una donna di Faleria, vedendolo nel vicolo di casa sua, chiamò di corsa quest'altro uomo, che si avvicinò pensando di poter barattare qualcosa. La donna invece gli raccontò di quanto successo a Santo Nicola, avvisandolo di essere in pericolo: per la paura gli caddero per terra tutte le cinte che portava in mano, e iniziò a disperarsi sicuro di non avere possibilità di salvezza. Il marito della donna però non ci pensò due volte, lo prese e lo chiuse dentro la cantina, per accompagnarlo di notte a Morolo, dove prese il primo treno riuscendo a tornare a Roma. I due faleriani erano Salvatori Fiorino e Di Mario Florentina, padre e madre di mia nonna, che racconta anche come passata la guerra, quest'uomo si fosse riuscito a salvare ai rastrellamenti, e tornò a Faleria per ringraziare chi lo aveva salvato da una morte sicura. Venne a Faleria anche il figlio dell'ebreo deportato, per vedere da vicino i luoghi dell'arresto e colui che collaborando aveva condannato a morte il padre. Gli fu indicato mentre stava seduto in piazza, a leggere il giornale, ma il giovane si limitò a guardarlo per non compromettersi e scendere agli stessi livelli di un assassino, che non si pentì mai di quanto fatto, tanto che passata la guerra, della famiglia di mia nonna disse tranquillamente che ad averlo saputo, avrebbe fatto deportare anche loro.